OSSERVATORIO ARTE FIERA

Barbara Abbondanza Maccaferri
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Originaria di Pesaro, per compiere gli studi universitari si trasferisce a Bologna, dove avvia, ancora studentessa, una società di organizzazione e comunicazione. Seguendo gli interessi della sua fondatrice, la società (attiva sino al 2009) si specializza gradualmente in consulenza organizzativa in ambito artistico e culturale. Organizza fra l’altro il Festival del Libro d’Arte, iniziativa di notevole successo presso il pubblico e di grande partecipazione da parte degli addetti ai lavori. Barbara Abbondanza ne è l’anima per numerose edizioni, prima di passare la mano ai soci.
Successivamente attiva per diversi anni come consulente per enti pubblici e privati nella produzione di mostre di arte antica e iniziative di valorizzazione territoriale, si concentra progressivamente sull’ampliamento e la gestione della collezione privata di arte contemporanea avviata insieme al marito Gaetano. Oggi indossa solo saltuariamente la veste di organizzatrice di iniziative ed eventi, per dedicarsi maggiormente a interessi di carattere personale.
Dall'edizione 2020 è presidente del Comitato consultivo di Arte Fiera, struttura composta da eminenti collezionisti italiani, nata per affiancare la Direzione artistica per la migliore riuscita della manifestazione.


Sono nata in una citta di provincia a prima vista come tante altre ma, a mio avviso, venata di bizzarria: ci sono tristi alberghi talmente troppo vicini al mare da fare ombra in spiaggia di pomeriggio, e tesori da far invidia a una capitale; persone così soavemente normali da rimanere immutate per una vita intera, e altre visionarie al punto da avviare iniziative miliari come il Rossini Opera Festival, faro internazionale nella ricerca e momento di ritrovo mondiale per la lirica ormai da molti decenni.

Qui, ragazzina, guardavo vivere due signore, instancabili interpreti della propria curiosità e protagoniste della scena -credevo allora cittadina- dell’arte contemporanea, allora ancora appannaggio di relativamente pochi. Informale, Transavanguardia, Arte Povera… Dibattiti, incontri, un gran viavai di artisti, critici, gente di ogni genere, chi li aveva mai visti da noi? Era un insieme eccitante di vitalità, serietà, leggerezza… Ma c’era qualcosa di più sottile che incatenava la mia attenzione, che coglievo ma che al contempo mi sfuggiva, di cui si alimentava il mio desiderio insistente di comprendere… Era che subivo il fascino della mondanità,  l’attrazione che esercitavano, l’originalità per me inusitata delle loro case, l’energia che emanavano, il loro “savoir faire et vivre”? Che cosa, in fondo, trovavo così seducente, così privilegiato?

Mi è capitato di ripensarci, mentre la mia vita si dipanava altrove, poi la risposta  mi si è data da sola: avevano un istinto per la qualità.

Sentivano la qualità come un rabdomante l’acqua, e la scovavano ovunque fosse, dappertutto: nell’arte che non conoscevano e in quella nota, nelle persone, nei mobili antichi, in quelli nuovi, al mercatino, e non smettevano mai di comporre il caleidoscopio, evidentemente competitivo e faticoso, ma così appagante, della propria vita. Un po’ incoscienti forse, incuranti anche, ma sempre a far volare il proprio aquilone.

Allora non potevo saperlo, ma adesso credo di sì: la scena che allora mi ipnotizzava non era cittadina, era degna del mondo, ovunque nel mondo. La qualità di quelle proposte, più o meno consapevole di sé, era avulsa dal contesto, era tale e basta. La qualità lo è. E potercisi imbattere, coglierla, è un privilegio potente. Averla nella propria vita, anche solo per pochi istanti, è inebriante.

Intuire e percepire non è comprendere, tantomeno possedere, magari! Però è partecipare: e poi, talvolta, la matassa ha un bandolo: la vita mi ha fatto incontrare mio marito, un fiume carsico, per il quale l’amore per la qualità è identitario, quasi coincide con lui, senza rumore. E così, poco alla volta, quello che non sapevo bene di desiderare tanto, ha cominciato a fluire nella mia esistenza, per rivoli sottili…

Non ho competenze curatoriali, e sono una dilettante dell’arte -anche di quella contemporanea- ma mi appassiono, guardo e sento con piacere sincero, talvolta con emozione anche profonda.

La solitudine cosmica di Giacometti, il segno assoluto di Picasso quando tratteggia la sua amata che riposa, la trascendenza di Brancusi, la prigionia interiore delle figure di Bacon, la potenza del magnete di Mattiacci, le pietre che volano, anzi che “sfumano verso Oltremare” di Anselmo, il senso di espiazione dei peccati del mondo di Kiefer, la magia gioiosa di un filo ritorto nelle metafore scultoree di Melotti, la carica rivoluzionaria dirompente del linguaggio astratto nel secondo dopoguerra, la forza seduttiva né astratta né rappresentativa del surrealismo, l’originalità dell’Action Painting, una sorta di diario temporale dell’impulso creativo dell’artista, l’indagine dello spazialismo tra segno, colore, luce, il prodotto sconvolgente del coinvolgimento degli artisti in temi etici e sociali, ma quanto si potrebbe continuare…

Nel tempo, è emerso dell’altro che ho scoperto cruciale per l’esistenza umana, come la visionarietà: l’attitudine a vedere le strade dove non ci sono, a percepire la forza di un gesto che all’apparenza è uno scarabocchio, un messaggio dirompente dove sembra siano solo sassi e stracci assemblati a caso, l’unicità dove a prima vista è solo ripetizione e plagio, una persona cui non si è fatto caso, mai. Ora ci presto attenzione, mi attirano molto i visionari.

E poi, la magia della sintesi: la semplicità come punto di arrivo, dopo tanta complessità, addizione, lavorio, ragionamento, intuito… Talvolta, mi sembra di coglierla nel lavoro di un artista, anche giovanissimo o sconosciuto, e mi esalta: sento come se la fatica del fare, del ricercare una propria linea di espressione originale svanisse nell'intensità leggera del risultato: la sintesi!

Sono stata fortunata, ma non so se la fortuna esista, o vada scovata negli anfratti dove si annida, sotto tutte le spoglie nelle quali si presenta… Occorre, temo, non avere paura di avere paura…


Giuseppe Spagnulo, Rosa dei venti, 2012, terracotta ingobbiata, ossido di ferro e ossido di rame
courtesy Galleria dello Scudo