OSSERVATORIO ARTE FIERA

Claudio Musso
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Claudio Musso è critico d'arte, curatore indipendente, docente di Fenomenologia delle arti contemporanee e di Teoria della percezione e psicologia della forma presso l'Accademia G. Carrara di Belle Arti di Bergamo dove è Coordinatore del corso di Pittura. È editorialista per Artribune e autore del programma Die Straßenzeitung su NEU Radio.

Photocredit: Jgor Cavallina
 

Per me parlare dei ricordi legati ad Arte Fiera significa rivedere tutti gli anni di vita a Bologna (l’anno prossimo saranno 20). Già dai primi anni dell’Università infatti quello era l’appuntamento cardine intorno al quale ruotava non solo e non tanto la vita artistica cittadina, ma il “nostro” dibattito di critici d’arte in erba, o almeno così mi piace pensare. È vero che la fiera è il momento del mercato, degli scambi economici, di quelle vicissitudini che allo studente di storia dell’arte paiono non interessare, eppure, poco prima, durante e subito dopo la chiusura della manifestazione fieristica, dentro e fuori dalle case dei fuori sede si consumavamo le più accese discussioni. A volte lo spunto era l’opera o l’artista “bruciato” dal mercato, altre volte era il rapporto di eterna discordia tra l’artista, il gallerista e il critico, altre ancora il livello saliva fino ai massimi sistemi della teoria dell’arte. Sta di fatto che a distanza di tempo posso dire che proprio il tanto vituperato rapporto tra arte e mercato, o meglio, la possibilità di vedere, toccare e giudicare l’opera come oggetto (im)materiale fuori dalle pagine dei libri, liberava le “vere” questioni in campo.

Il mio rapporto con Arte Fiera è continuato poi da collaboratore del MAMbo, periodo durante il quale ho assistito anche alla nascita del progetto ART CITY Bologna come evoluzione della disseminazione di eventi in città conosciuta prima con l’etichetta di Arte Fiera OFF. È in quella (che una volta era una) lista infinita di mostre, performance e attività che posso dire di aver mosso i primi passi come curatore, senza aver frequentato scuole o corsi specifici, anzi, reputando l’inserimento dell’esposizione volta per volta sottoposta al vaglio del comitato come una vera e propria conquista. In quegli anni mi è capitato anche di lavorare come allestitore nello stand di una galleria privata milanese, esperienza che tra le altre mi ha insegnato molto sulla fragilità di certi materiali (ops!). Potrei dire infine dei progetti curati in prima persona negli ultimi anni in alcune sedi dell’Istituzione Bologna Musei o per la Fondazione del Monte, ma credo di aver già parlato troppo di me.

La mostra che ricordo sempre con grande piacere è l’antologica dedicata a Gilberto Zorio presente al MAMbo tra il 2009 e il 2010. Una delle più grandi mostre personali dell’artista biellese in Italia che aveva letteralmente invaso la Sala delle Ciminiere con una imponente Torre Stella capace di cambiare la percezione della struttura architettonica. Lo spazio, continuamente animato di luce e suono, pulsava di vita come raramente mi è capitato di vedere anche in seguito. Oltre alla ricostruzione storica della ricerca artistica, dagli esordi all’Arte povera fino agli esiti più recenti, ciò che impressionava era la sensazione di vivere un’esperienza di opera d’arte totale. Per lavoro e per piacere sarò entrato nella mostra “accesa” centinaia di volte, senza mai stancarmi o annoiarmi. Quando entro in quegli spazi, in condizioni particolari, ancora adesso mi sembra di sentire fischi, sibili e mormorii, mi rendo conto di attendere ancora che i fari si spengano e cominci l’orchestra. Chissà se le mostre lasciano tracce invisibili negli spazi che le hanno ospitate?
 


Gilberto Zorio, Torre Stella