OSSERVATORIO ARTE FIERA

Matteo Zauli
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Matteo Zauli è progettista culturale e cura mostre, eventi, residenze e festival legati in particolare all'uso della ceramica nei linguaggi contemporanei in Italia e all'estero. Insegna management dei beni culturali e collabora al Corso per Curatori per l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Vive a Faenza, dove ha fondato e dirige, dal 2002, il Museo Carlo Zauli. Opere del Museo sono state esposte all’interno di “Solo figura e Sfondo”, prima mostra del ciclo Courtesy Emilia-Romagna a cura di Davide Ferri ad Arte Fiera 2019.

Alfonso Leoni, oltre la dialettica ceramica
 

Da quello che ho capito, è l’energia che si sprigiona da una relazione dialettica, e che talvolta si anima nei contrasti, che rende davvero interessante un’opera d’arte. Poiché vorrei parlare della nostra terra, l’Emilia-Romagna, di cui peraltro Arte Fiera è davvero un diamante incastonato nel mezzo della scena, non vi stupirà che colga l’occasione raccontandovi proprio di una relazione dialettica legata alla mia città. Faenza è al tempo stesso una vera provincia, con i suoi sessantamila abitanti scarsi, e una città d’arte antica e contemporanea, dove nell'epoca antica già si facevano vasi dipinti ed oggi un centinaio di artisti visivi, ceramisti, designer ed artigiani vivono, spesso anche felici, del proprio lavoro.

Tra i ceramisti, quelli che si occupano di scultura ambiscono alla difficilissima impresa di essere considerati anche nel campo delle arti visive tout-court, oltrepassando il confine segnato da gallerie, musei, collezionisti di settore.

Un problema di identità e frustrazione, che è iniziato dopo che Leoncillo e Fontana avevano portato la materia ad una piena dimensione scultorea e concettuale, e di cui hanno sofferto decine di artisti della ceramica da cinquant'anni a questa parte. Mio padre, ad esempio, si considerava scultore grazie ad una consapevolezza che gli venne dopo aver realizzato, dal 1960 in poi, una serie di opere monumentali per l’architettura e la committenza pubblica ed aver abbandonato del tutto la produzione di oggetti d'uso. Ma in questo senso non ebbe mai, in Italia, un pieno riconoscimento.

Come non l'ebbe, ma anche per altri motivi, un altro scultore faentino che probabilmente rappresenta, insieme a Nanni Valentini, la vetta concettuale più elevata dell'ultimo terzo del novecento ceramico internazionale: Alfonso Leoni.

In una città considerata, per tutto il Novecento, l'isola bianca e la fabbrica dei preti nella Romagna rossa, Leoni era il più progressista attore di un territorio che, nel perimetro di un chilometro quadrato, annoverava artisti figli di partigiani, come mio padre, o quasi-rifugiati politici, come Panos Tsolakos, emigrato dalla Grecia dei colonnelli. Nello stesso chilometro quadrato, il Museo Internazionale delle Ceramiche e l'Istituto d'Arte fornivano presupposti storici, formazione, occupazione e terreno di prova per tanta necessità di espressione contemporanea.

E fu proprio al Museo Internazionale che, nel 1975, Leoni fissò uno dei vertici di questa età dell'oro ceramica: in occasione di un documentario realizzato per la Rai da Enrico Crispolti ed Aldebrando De Vero sulla ceramica italiana contemporanea, radunò un gruppetto di studenti e prese a scaraventare a terra, distruggendole, un gruppo delle sue storiche e più recenti ceramiche, tecnicamente perfette, rilucenti dei loro meravigliosi smalti vetrosi e dense di profondi riferimenti storici, antropologici e filosofici. E poi, davanti a un pubblico disorientato, ne rimpastò i cocci con l'argilla cruda, rigenerandoli in una grande e greve sfera, priva di tutta quella preziosità tecnica che le sue opere avevano sempre avuto.

Come a dire che la meraviglia tecnica, in arte, è un limite più che un valore, pur se ogni artista se ne serve e cerca di utilizzarla ai massimi livelli. Una considerazione che, in ceramica, è davvero eclatante e sacrosanta.

Cinque anni dopo Leoni, proprio quando stava cogliendo i migliori frutti internazionali della propria ricerca, morì a trentanove anni. Restano molte ceramiche ancora oggi sorprendenti, resta un archivio, restano i libri e i racconti di chi lo ha conosciuto.

Oggi la ceramica è molto di moda, tantissimi artisti arrivano a Faenza per lavorare questa materia che, come diceva mio padre, è come un virus, e se ti entra dentro non ti lascia più stare.

E' una storia, più che una materia, vecchia come l'Uomo, eppure sempre brillante come la cristallina che ricopre lo smalto donandogli una freschezza senza fine.
Come le opere di Leoni, che sembrano ancora oggi appena uscite dal forno.