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In Analogie e memoria, lavoro nato a Matera tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, Mario Cresci ingloba segni, immagini, scritte, disegni, appunti, frammenti di icone tenute negli archivi e nelle cassettiere insieme a progetti, collage, manifesti, estratti di testi e immagini stampate, fotografie di altri autori. Un diario di un viaggio iconico, in cui tutti gli elementi sono composti tra loro come un menabò in doppie pagine di un grande libro. Le fotocopie sono "opere" nel senso di arte come idea, da intendere come proposizioni che assolvono a un assunto conoscitivo. Cresci fa ricorso a mezzi di comunicazione anonimi: sostituisce l'utilizzo della macchina fotografica con l'atto di porre sul piano di una fotocopiatrice il suo mondo artistico, tra realtà visibile e esplorazioni cognitive, per evitare tutti i possibili risvolti formalistici connessi all’idea di immagine fotografica realizzata secondo i canoni classici.


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