OSSERVATORIO ARTE FIERA

Alessandro Bosetti
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Alessandro Bosetti (Milano, 1973, vive a Marsiglia) è un compositore e artista sonoro che ha declinato, attraverso molteplici forme e discipline, la passione per la sonorità del linguaggio parlato e per la voce, intesa come oggetto autonomo e strumento espressivo. Le sue opere mettono in atto un dialogo tra linguaggio, voce e suono all'interno di costruzioni tonali e formali complesse, percorse da un'ironia obliqua. Bosetti costruisce dispositivi sorprendenti che rimettono in discussione categorie estetiche e posture dell'ascolto. Per Arte Fiera 2020 è stato uno dei protagonisti del programma Oplà. Performing activities.
  

Per tre giorni ad Arte Fiera ho cercato di ignorare le opere esposte concentrandomi invece sulle ombre che le circondavano. 
Per alcune ore ogni giorno ho condotto brevi interviste con un gran numero di persone chiedendo di inpiduare un’ombra (vicina, lontana, grande, piccola, presente o ricordata etc.) e di descriverla. 
Istintivamente mi sono trovato ad eliminare il particolare delle opere dal mio campo visivo per concentrarmi sulla sfuggevole universalità delle ombre. Per tre giorni ho vissuto in un infra-mondo più uditivo ed immaginario che non visivo, fatto di voci, ombre e relazioni più o meno effimere tra sconosciuti. 
Una traccia di questa esplorazione: gli instant podcast de L'Ombra.

In questo stato di voluta distrazione c’è una sola opera che si è fatta strada nella mia attenzione e nella mia memoria: si tratta di un video che ripropone la performance di Mattin “No No Nono No NO!” svoltasi al Teatro Manzoni nella serata di apertura della stagione sinfonica 2015. 
Il video è stato presentato nella mostra “L’opera aperta” e documenta una performance che si svolge nel parterre del teatro prima dell’esecuzione di una composizione di Luigi Nono. 
“No No Nono No NO!” è la prima parte del programma della serata ma la maggior parte degli spettatori la percepisce come un preludio a sipario chiuso che ritarda fastidiosamente l’inizio del concerto vero e proprio.
La telecamera - e una fonte luminosa piuttosto potente - sono rivolte verso il pubblico nel quale sono mescolati alcuni performer che di tanto in tanto si alzano per recitare slogan, frammenti testuali o altre interiezioni vocali. 
La composizione procede per germinazione a partire da tale collage che agisce come catalizzatore sonoro.
La reazione del pubblico non si fa attendere e ricorda da vicino le reazioni del pubblico nella storica performance Empty Words di John Cage al teatro Lirico di Milano nel 1977.  Dapprima qualche protesta isolata seguita da un’esplosione di esternazioni di ogni sorta, difficilmente leggibili all’ascolto della registrazione ma che debbono aver avuto un effetto entusiasmante distribuite nella spazialità del teatro. 
Il pubblico bolognese di oggi ricorda di più il pubblico inizio-novecentesco che assisteva alle serate futuriste che non quello della Milano del movimento studentesco ma tant'è, l’energia sonora generata è altrettanto imponente. 
Il colore polemico della situazione mi interessa poco (anche se regala al lavoro un carattere gustosamente comico).
“No No Nono No NO!” è andata diritta a toccare la mia passione per la musica polifonica vocale e non ho potuto fare a meno di darle sguardo e ascolto e di continuare a pensarci nei giorni successivi. Seguendo questo mio personale interesse o ossessione ho trovato nel pezzo di Mattin un perfetto esempio di contrappunto vocale contemporaneo. 
La polifonia vocale per un grande numero di voci indipendenti ha avuto i suoi apici alla fine del Rinascimento: La Missa sopra Ecco sì beato giorno di Alessandro Striggio del 1565 utilizza da 40 a 60 voci indipendenti (!). Il canone Spem in alium di Thomas Tallis ne utilizza 40. Spem in alium è stato ripreso da Janet Cardiff in una efficace installazione che ne separa le voci singole assegnandone ciascuna ad un altoparlante perso e permettendo all'ascoltatore di camminare tra le pieghe della polifonia stessa (Forty Part Motet, 2001). 
Seguono nel primo Seicento i capolavori madrigalistici - tra i tanti - di Gesualdo da Venosa e Luzzasco Luzzaschi che fanno sognare una sempre maggiore indipendenza ed espressività di voci singole articolate in una conversazione complessa. 
Ai tempi di Luzzasco (e poi di Bach) a rendere compatta e interessante tale aggrovigliata tessitura erano le nascenti convenzioni dell’armonia tonale. 
La posta in gioco e la questione fondamentale era allora come lo è oggi: come faccio ad ascoltare più cose contemporaneamente? 
La mia attenzione è fissa su un solo oggetto oppure su di una molteplicità? 
L’armonia tonale propone una soluzione o un compromesso: ci si affida al rapporto tra consonanza e dissonanza, si lascia che l’attenzione fluisca e rifluisca tra il tutto e le parti, contraendosi e rilassandosi liberamente ma sempre guidata da un senso di coerenza armonica. 
Il contrappunto tonale è pieno di regole, questo si può fare, quest’altro no, quinte e ottave parallele sono vietate, si deve evitare di saltare più volte nella stessa direzione eccetera. 
Oggi osservo e ascolto alcuni objets trouvées contrappuntistici contemporanei come le liti televisive a più voci tra politici o le conversazioni conviviali attorno ad un tavolo in cui ciascuno dice la sua allo stesso tempo. Sono casi privi di coerenza tonale in cui è l’orientamento del flusso energetico a garantire la tenuta contrappuntistica.
Ci si ascolta lateralmente, si traduce in simultanea, ci si sdoppia e ci si moltiplica pensando-mentre-diciamo-mentre-ascoltiamo. La molteplicità delle voci e dei significati fiorisce e fa fiorire il mondo. 
Il grande NO di Mattin propone una brillante polifonia esplosa di questo tipo. Un potente madrigale contemporaneo, con parti largamente improvvisate, dominato da voci maschili (ahimè) intrecciate in una serratissima polifonia compresa in un registro di poco meno di tre ottave. Le voci “strappano” salti dinamici improvvisi tra mormorio e urlo, si avvitano su ritmiche complesse proprie dell’invettiva parlata, creano legami effimeri tra punti persi dello spazio rispondendosi a vicenda su mille colori persi. La tensione palpabile non è più quella della dominante che incombe sulla tonica ma piuttosto quella di un infinitamente protratto “ma quando finirà ?” che a pensarci bene appare un ben più onesto interrogativo esistenziale. 
Tutte le voci sono rigorosamente indipendenti. Lo split percettivo degli assi assi parlato-cantato e vicino-lontano amplifica la plasticità e profondità polifonica. 
“No No Nono No NO!” è coro, corpo sociale, organismo composito, presepe vivente, comunità (poco importa se periferica o centrale: ogni organismo genera il suo centro), intreccio di linee vocali appoggiate sul nulla. 
Osservando il gioco assorto dei bambini mi stupisco dell’assoluta concentrazione e presenza che ci mettono: per loro esiste un qui ed ora fortissimo che li occupa totalmente. 
Essi possiedono il massimo della plasticità associato al massimo della direzionalità ed esprimono vigorosamente la facoltà di tramutare il multiplo in singolo. 
Nello stesso modo il singolo occhio/orecchio monofonico di Mattin - il suo faro insolente proiettato sul pubblico - canalizza il folle brulicare di una polifonia impossibile sublimando la diffusa schiavitù degli adulti al multitasking in un’estasi fertile dell’ascolto.
 

Immagini dalla performance No No Nono No NO! di Mattin al Teatro Manzoni di Bologna, 30 gennaio 2015
Photocredit: Luca Ghedini