OSSERVATORIO ARTE FIERA

Chiara Camoni
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Chiara Camoni (1974) vive e lavora a Fabbiano, sulle colline della Versilia. Tra le mostre personali si citano la prossima al CAPC, Musée d’art contemporain de Bordeaux, Bordeaux; del 2019: About this and that. The self and the other. Like everything, a cura di Alfredo Cramerotti, Mostyn, Llandudno, Galles; Nous, con Luca Bertolo, Arcade Gallery, Bruxelles; Mondi Perfetti, SpazioA, Pistoia. Tra i group show, del 2021 IO DICO IO, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma; On Survival, a cura di Caterina Avataneo, Galerie Britta Rettberg, Munich, DE. 2020: Fuori - La Quadriennale di Roma, a cura di Sara Cosulich e Stefano Collicelli Cagol, Palazzo delle Esposizioni, Roma; Artifices Instables - Histoires des ceramiques, a cura di Cristiano Raimondi, NMNM Villa Sauber, Montecarlo, Principality of Monaco.
Per Art City 2021 è stata protagonista nei sotterrenai di Palazzo Bentivoglio con
Ipogea.

Mi ritrovo ancora in un museo archeologico, questa volta a Bologna per vedere la mostra sugli Etruschi e la Collezione Egizia nelle sale sotterranee.

Quella che sento, per le collezioni archeologiche, è un'attrazione strana, astorica, che non si assesta in un vero sapere, ma che vuole solo nutrirsi in quel momento. Non costruisce sistema di conoscenza, asseconda in me unicamente un desiderio, che ha anche risvolti ambigui

Forse perché tutti quegli oggetti - i cani e i gatti seduti immobili, le collane d'oro e lapislazzuli, i porta-unguenti o i ritratti - erano destinati ad essere celati per sempre.
Incaricati di accompagnare i defunti nel viaggio dell'aldilà, realizzati con la massima perizia e coi materiali più preziosi, dovevano poi rimanere chiusi in un buio solido e mai più apparire allo sguardo umano. Secondo i nostri parametri, il massimo sforzo per la minima visibilità. 

Oggi potremmo dire si lavora al contrario: minimo sforzo, in termini di tempi e risorse, per ottenere massima visibilità.

E io sono lì, partecipe in mezzo a tanti, del comune doppio sacrilegio: sostando di fronte a quelle vetrine da un lato e partecipando, dall'altro, alla forsennata corsa di questa società verso la totale illuminazione ed esposizione.

Quegli oggetti sono stati "caricati". Dalle mani di chi li ha realizzati e dal buio. E lo sono ancora, in latenza, sebbene imprigionati nelle teche di vetro e illuminati in maniera omogenea.

È quella loro "carica" che mi attrae irresistibilmente. Mi chiedo come facciamo - noi artisti - a non farci i conti, tutti i giorni... 

L'ossidiana così dura e i fiorellini così deperibili, si conservano allo stesso modo.
 

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Bologna, Museo Civico Archeologico