OSSERVATORIO ARTE FIERA

Sara Piccinini
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Dopo gli studi a Bologna e Bruxelles e una internship presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, Sara Piccinini è dal 2018 Senior Curator della Collezione Maramotti, Reggio Emilia, nella quale ha collaborato sin dal 2007, prima dell’apertura al pubblico. Opere dalla Collezione sono state esposte ad Arte Fiera 2019 nel contesto della mostra “Solo Figura e Sfondo”, primo episodio del ciclo Courtesy Emilia-Romagna.

Foto Bruno Cattani - Superstudio

La prima volta che ho incontrato Margherita Moscardini è stato a inizio 2015 a New York, dove Margherita stava lavorando a un progetto fotografico sul potere sovversivo dei vuoti urbani. Lì frequentava anche il corso “Architecture. Human Rights. Space Politics” di Felicity D. Scott alla Columbia University e da quella esperienza ha preso avvio il suo interesse verso i campi profughi come realtà urbane destinate a durare. In quelle settimane Palmira era devastata dallo Stato Islamico, la guerra civile sanguinaria e la Siria è diventata per Margherita il paradigma del nostro tempo, incapace di difendere l’uomo e la sua civiltà.

Nel 2018 – tre anni di ricerca e un’esperienza nel campo profughi di Za’atari dopo, grazie alla vittoria dell’Italian Council – Margherita propone alla Collezione Maramotti di realizzare un libro, molto importante per lei, che diventi strumento di approfondimento e conoscenza del suo progetto The Fountains of Za’atari. Dal dialogo sul libro (che sarà pubblicato nel corso del 2019), il progetto si espande e il 13 aprile saranno inaugurate una mostra in Collezione e la prima scultura pubblica in un parco di Reggio Emilia.

Il campo per rifugiati di Za’atari nasce nel 2012 in un’area semidesertica al nord della Giordania, per accogliere i siriani in fuga dalla guerra. Nel 2014 raggiunge una popolazione di 150.000 persone e oggi i residenti sono circa 80.000, rendendo Za’atari la quarta città della Giordania per estensione.

Una delle prima cose di cui Margherita parla, quando racconta di Za’atari, è la sua disfunzione progettuale come città: a fronte di impianti idrici, elettrici, di depurazione con standard medio-alti, le unità abitative sono fatte di container e l’utilizzo del cemento non è consentito, perché tutto è concepito per essere provvisorio e temporaneo – nonstante la durata media di un campo, secondo l’UNHCR, sia di 17 anni. I residenti, anche in autonomia, cercano di organizzarsi, ma non esiste una reale volontà progettuale, un’idea di sviluppo presente e futuro da parte delle organizzazioni che gestiscono il campo.

Margherita ha realizzato una mappatura dei cortili con fontana realizzati dai residenti negli spazi delimitati dalle loro stanze-container, sul modello della casa araba. Il progetto The Fountains of Za’atari è un dispositivo pensato per creare un sistema di vendita di sculture che riproducono in scala reale i modelli di cortili con fontana di Za’atari, e che potranno essere acquistate (e in qualche modo, adottate) da istituzioni e amministrazioni europee per i loro spazi pubblici. L’autore della fontana diventa il beneficiario diretto della vendita, così da generare un sistema virtuoso di supporto all’economia del campo.

Inoltre, l’artista si è chiesta: com’è possibile trasferire la condizione di colui che senza stato cerca rifugio, in termini plastici? La risposta è stata che queste sculture dovranno diventare oggetti con “super poteri”, beneficiando di una giurisdizione speciale con elementi di immunità ed extraterritorialità, che con il tempo le qualifichi come “buchi neri, power vacuum su suolo nazionale”.

Un progetto potente, relazionale, utopico, ma con radici reali nell’attualità, che restituisce all’Arte la responsabilità di configurarsi come dispositivo che agisca sul tempo presente.